Il Personaggio della Settimana: Gabriele D'Alessio

a cura della redazione
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Gabriele D'Alessio (22 anni - 3 di tessera) è un giovane arbitro della sezione di Pesaro che sta arbitrando le partite più importanti di Seconda categoria. Complimenti e in bocca al lupo per la sua avventura all'interno dell'Associazione.
 
Com’è cominciata la tua avventura all’interno dell’Associazione Italiana Arbitri e come ti trovi attualmente? La mia avventura all’interno della Associazione nasce da una grande passione per il calcio respirata in casa di mio nonno. Ho sempre seguito, all’inizio, le partite della mia squadra del cuore. Poi man mano ho seguito anche le altre e ho capito che volevo far parte del mondo del calcio e considerato che a pochi km da casa c’era l’Aia di Casarano (LE), ho deciso di iscrivermi e di farne parte. Oggi, per motivi di studio, mi trovo a far parte della sezione di Pesaro e ne sono orgoglioso perché è un ambiente molto conviviale, serio e dinamico.
 
Che suggerimento daresti ad un giovane arbitro? Forse, sono ancora troppo giovane per dispensare consigli e quindi gli direi di essere in campo fermo nelle decisioni, imparziale, leale nei confronti delle due squadre.

Cosa vuol dire per te essere arbitro? Essere arbitro per me  significa praticare uno sport che mi entusiasma, che mi ha aiutato molto a maturare accettando le regole non solo calcistiche ,ma più in generale le regole della vita sociale, dello stare insieme e perché no, mi ha permesso di guadagnare qualche soldino per non gravare sui miei genitori per qualsiasi cosa.

Come definiresti il tuo modo di arbitrare? Chi è il tuo arbitro preferito? Questa domanda dovrebbe essere rivolta ad un osservatore. Io in campo do il meglio di me, ma sono convinto di avere ancora molta strada da fare per essere all’altezza del mio mito: l’arbitro inglese Howard Melton Webb.

Quale evento ricordi più volentieri dei tuoi trascorsi arbitrali? E qual’ è l’aneddoto più curioso? Tenendo conto che far parte dell’Aia per me non è solo 90 minuti su un terreno di gioco ricordo ben volentieri l’aria che si respira all’interno della nostra sezione tutte le volte che mi trovo a parlare e scherzare con tutti i miei amici e colleghi, ma che prima di tutto voglio considerare amici, perché come dice qualcuno, le amicizie restano per sempre. Mi dispiace solo che stando un po’ lontano da Pesaro non mi è possibile essere sempre presente agli appuntamenti con i miei amici colleghi. L’aneddoto o gli aneddoti più curiosi risalgono alle mie prime partite quando ancora non avevo esperienza e facevo tante di quelle sciocchezze che se ora ci penso mi metto a ridere.

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Il Personaggio della Settimana: Davide Cascone

a cura della redazione
 
Oggi intervistiamo Davide Cascone (34enne) che tre anni fa ha deciso di entrare all'interno dell'Associazione Italiana Arbitri. Dirige le gare di calcio a 11 e calcio a 5 a livello provinciale dimostrando sempre una grande passione in quello che fa, dentro il campo e fuori. In bocca al lupo.
 
ImageCom’è cominciata la tua avventura all’interno dell’Associazione Italiana Arbitri e come ti trovi attualmente? Premetto che dall’età di 10 anni  ho sempre giocato a calcio e che mai mi era passato per la mente di fare l’arbitro, anche se mi era capitato spesso di fare l’arbitro in partite tra amici, forse ero portato e non lo sapevo.La mia avventura all’interno dell’AIA è iniziata circa tre anni fa, dopo che un mio collega Carabiniere, che aveva intrapreso la carriera di arbitro alcuni anni prima, mi ha raccontato con entusiasmo della sua avventura. Un giorno preso anch’io dall’entusiasmo,  alla tenera età di 31 anni, ho deciso di fare il corso e di diventare un arbitro di calcio. Attualmente sono orgoglioso di far parte di questa associazione, che con il passare del tempo si è rivelata una vera è propria famiglia, dove tutti gli associati hanno una sola comunione di intenti, quello di permettere a tutti di giocare al più bel giuoco del mondo, il calcio. L’unico rimpianto che ho è quello di non aver iniziato prima ad arbitrare, oggi a qualsiasi ragazzo di 15 anni consiglierei senza dubbi di fare l’arbitro, perché oltre a dargli tante soddisfazioni,  li fa maturare molto prima rispetto ai loro coetanei. La mia professione di Carabiniere ha molto similitudini con la professione di arbitro, diciamo che la prima aiuta l’altra, ma anche l’altra aiuta la prima.  Quando scendo in campo non ho nessun timore nei confronti dei calciatori, dei dirigenti e soprattutto del pubblico, questo mi aiuta ad arbitrare con la dovuta serenità e con quella imparzialità che mi ha sempre contraddistinto.
 
Che suggerimento daresti ad un giovane arbitro? Ad un giovane arbitro l’unico consiglio che posso dare è quello di scendere in campo consapevoli che non possiamo riuscire a vedere tutto, è che a volte scusarsi con gli addetti per non essere riusciti a vedere bene, ci rende più umani e meno prepotenti. Un altro consiglio che mi permetto di dare ai giovani è quello di provare ad arbitrare il Calcio a 5, io l’ho provato e vi assicuro che vi da tante soddisfazioni, ma soprattutto una prospettiva di carriera molto più semplice rispetto al settore Calcio.
 
Cosa vuol dire per te essere arbitro? Essere arbitro per me vuol dire avere responsabilità,  ogni incontro per me è come una missione, sono soddisfatto solo quando la squadra che perde si complimenta per la direzione della gara.

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Il Personaggio della Settimana: Marco Cesaroni

a cura della redazione
 
Marco Cesaroni, 28 anni (di cui 10 di tessera), da due anni arbitra le migliori partite di Promozione ed Eccellenza in  giro per tutta Italia poichè appartiene all'organo tecnico della CAI. In bocca al lupo sperando che Marco possa raggiungere tutti i suoi obiettivi!!
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Hai incarichi associativi? Se sì quali? Sì, sono consigliere sezionale.

Cosa vuol dire per te essere arbitro? L’avessi capito…Non ho la presunzione  di poter affermare di conoscere il significato di essere arbitro, posso solo permettermi di raccontare quello che ho scoperto voglia dire, almeno sino ad ora; perché ogni giorno di appartenenza all’associazione più stravagante alla quale potessi avvicinarmi, è un giorno per conoscerla meglio, un giorno per renderla sempre più mia, un giorno per capire la straordinarietà di 30 000 persone che, la maggior parte delle quali, senza nulla in cambio portano avanti un ruolo, coltivano, ma soprattutto permettono ad altri di coltivare una passione. Prima di entrare nell’AIA, essere arbitro era una cosa da cui stare lontani, appena entrato è diventato lo sport individuale della domenica; più il tempo passava e quella casacca che “solo”, nello spogliatoio indossavo, prendeva sempre più forma di me, diventava un qualche cosa di strano ma piacevole  che tendeva a legarmi all’attività che stavo facendo. E poi, l’essere arbitro è stato scoprire che in campo e in quello stesso spogliatoio non si era mai “soli”, ma solo lasciati liberi di sbagliare e allo stesso tempo di imparare, oculatamente osservati e protetti quando ce ne fosse stata la necessità. Essere arbitro è stato rendersi conto di aver fatto una scuola di vita, per la vita, quella di tutti i giorni, che rende ognuno di noi arbitri con un qualche cosa in più rispetto a tanti altri. L’essere arbitro è stato scoprire di appartenere ad una famiglia che ti accoglie e ti stringe a sè in ogni posto o località lontana da casa in cui per un motivo o per un altro ti  trovi ad essere, solo ed esclusivamente per il fatto di essere un altro arbitro. L’essere arbitro oggi è riconoscere di avere avuto straordinariamente tanto dalla mia associazione  e sentire la voglia di poter rendere indietro almeno qualche cosa quando ne sarà il momento.

Che suggerimento daresti ad un giovane arbitro? Vorrei dire loro tante cose, raccontare di tutti gli errori e gli sbagli che ho fatto, in maniera tale da aiutarli a non commetterne uguali, ma so che non servirebbe, perché ognuno di loro deve vivere la propria esperienza e assaporare passo passo gioie e dolori che questo nostro mondo è in grado di dare. Ma dico loro di non cedere mai quando andranno incontro ad esperienze tristi, mancate soddisfazioni ed aspettative, perché sono solo momenti, a cui bisogna fare fronte per averne altrettanti straordinari e libidinosi, mantenendo però, sempre coscienza di ciò che si è vissuto, nel bene e nel male. 

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