In campo ad 83 anni l'arbitro dei carcerati
tratto da http://www.arbitri.com
“Forse è venuto il momento di smettere”. Seduto in salotto, Aldo Parise, il nonno degli arbitri di calcio, confessa di essere ancora incerto sulla decisione da prendere, cioè se rendersi disponibile per la prossima stagione oppure se riporre per sempre il fischietto e la divisa nell’armadio della nuova casa, a Vicenza. Comunque vada, gli si può dare una certezza. Se chiuderà bottega nessuno gli dirà: «Aldo, ma ci lasci così presto?», perché il signor Parise il prossimo 25 novembre compirà 83 anni e l’unica domanda che gli si può porre correttamente è «come diavolo fa ad arbitrare ancora?».
L’ultima partita l’ha diretta nell’agosto scorso a Barcarola d’Arsiero. «A dire il vero furono due, però di calcio a cinque, campo piccolo, si corre niente», minimizza. «L’ultima che ho arbitrato su un campo da 11 invece è stata un paio di mesi fa nel carcere di Vicenza, un’amichevole tra i detenuti e la squadra di una scuola. Qualche volta ci gioca anche il Vicenza. Lì si fa sul serio. C’è gente che ha commesso robe brutte, un tizio con tre ergastoli, un altro che ha ammazzato la nonna perché non gli dava i soldi per la droga. Però in campo i carcerati sono perfetti. Se entrano duro si scusano subito».
Due anni fa, Parise era ancora in organico per i campionati più impegnativi del Centro Sportivo Italiano, l’ente di promozione che nel Veneto cattolico è una forza. «Ultimamente - dice - mi assegnano ai tornei a 7 o a 5, con il campo più ridotto ma dove la vista deve esser buona e si gioca molto di notte, la mia specialità, ne ho fatti così tanti». Vista buona, cuore a posto, gambe energiche. Il signor Aldo mostra l’ultimo certificato medico di idoneità all’attività agonistica. Risale a un anno fa. «Il dottore mi ha detto di non aver mai visto niente del genere. Ho fatto l’elettrocardiogramma sotto sforzo, mi ha provato il fiato ed era quello di un calciatore: cercava una ragione per fermarmi e non l’ha trovata. Dovrei tornarci per il rinnovo. Non so se farlo. Forse mi troverà invecchiato». Gli è passata un po’ la voglia di allenarsi con quei 10 chilometri percorsi corricchiando o a passo svelto. Lo si può capire. L’ha fatto per 55 anni, tanti ne ha arbitrati, e crediamo che nessuno ne abbia fatti più di lui.
I ricordi si inseguono in una vita passata attraverso la guerra e il dopoguerra, gli anni del boom e quelli difficili. A 13 anni il signor Aldo si trasferì a Torino seguendo il padre ferroviere. L’Italia stava per entrare in guerra. Fece molti mestieri, dal garzone in una pasticceria all’operaio e sindacalista, dal costruttore di reti metalliche negli Anni Cinquanta al rappresentante dei primi rasoi elettrici e piccoli elettrodomestici nei Sessanta. «Il registratore con cui Enza Sampò fece i primi esercizi di dizione gliel’ho venduto io», racconta. E poi l’hobby della pittura, come suo padre. Il diploma da assaggiatore di grappe. L’amore per il ballo. E l’attività in giro per l’Italia come arbitro di «torball», lo sport per i ciechi, con la palla piena di sonagli perchè si capisca dov’è.
Sullo sfondo, il calcio. Portiere tra i dilettanti, quindi arbitro. «Fu mia moglie ad iscrivermi al corso, a Torino. Senza avvertirmi». Venne promosso, diresse qualche gara di giovani. «Cinque o sei, poi mi dimisi per un litigio con un designatore». Dal rischio di smettere subito all’inizio dell’avventura lunga più di mezzo secolo. «L’arbitro internazionale Liverani, che credeva in me, era un esponente di spicco nel Csi e mi convinse a passare da loro: avevano pochi arbitri. Ci andai».
Voltandosi indietro il signor Aldo scova un rimpianto: «Se fossi rimasto in Federcalcio avrei fatto carriera come tanti che cominciarono con me. Avevo il fisico, conoscevo bene il regolamento. Ma sono fatto così e le mie impuntature a volte mi hanno portato fortuna come quando, per vedere gli aerei alleati che per la prima volta bombardavano Torino di giorno, l’8 novembre del ’43, uscii dal rifugio e rimasi allo scoperto in corso Spezia. Quella follia mi salvò la vita, perché le bombe fecero crollare il mio palazzo e nel rifugio morirono in tanti». Di quel giorno gli è rimasta la passione per gli aerei da guerra. Ci mostra i due album pieni di fotografie, ritagli di giornali e schede tecniche minuziosissime. «So tutto di caccia e bombardieri della Seconda Guerra - racconta - Feci anche un provino per “Lascia o Raddoppia”. Mi bocciarono quando dissi ingenuamente che conoscevo bene Mike Bongiorno, perché abitava di fronte a casa mia».
Al «glamour» dei grandi match che non ha mai arbitrato, Parise ha sostituito l’incredibile longevità. Più di 4 mila partite «e mai un’invasione di campo o un’aggressione e non più di sei o sette espulsioni, perché da noi le squadre hanno un’estrazione parrocchiale e di solito alle spalle c’è un prete. Insomma si gioca sodo ma con più educazione. Invece ho espulso molti dirigenti: uno l’ho pure querelato per ingiurie. Lo perdonai soltanto quando versò dei soldi all’Associazione per la lotta contro i tumori». È un aneddoto tra tanti.
Da quando sostituì in incognito il famoso Gonella per un’amichevole della Juve a Nichelino, e fu poi costretto a firmare gli autografi con quel cognome («persino Bettega, appena tornato dal Varese, mi presentò la sua fidanzata dicendomi: "Permette, signor Gonella...") al produttore di vini che nel Canavese gli offrì alcuni cartoni di bottiglie perché facesse perdere la sua squadra. «Il parroco l’aveva incastrato come sponsor ma lui non voleva pagare le spese per partecipare alle finali nazionali e avrebbe gradito la sconfitta nella partita decisiva per andarci. Chiesi a Liverani cosa dovessi fare . Mi disse di caricare in auto le bottiglie e di arbitrare normalmente. Finì che la squadra di quel signore si qualificò per forfait perché gli avversari non si presentarono per un guasto al pullman e sulla via del ritorno ci bevemmo le bottiglie».
Signor Parise ma a 80 anni suonati nessuno le ha mai rinfacciato la vecchiaia? «No, anzi dai 65 anni fino a oggi l’atteggiamento dei giocatori si è fatto più rispettoso, forse perché posso esserne il nonno o forse perchè ammirano una persona che non si piega all’età. L’insegnante di una delle scuole che vengono a giocare nel carcere qualche mese fa mi ha detto: "Porto una sua fotografia a mio marito che è molto più giovane di lei ma non si schioda dal divano"». Ora il Nonno Fischietto deciderà di smettere. O forse no.